Capita che un cliente ci chiami perché ha fatto una traduzione e gli serve il “giuramento” (qui leggi un approfondimento per capire la differenza tra asseverazione, legalizzazione, apostille e certificazione).
Poiché non è possibile presentarsi davanti al Giudice di Pace o al Cancelliere del Tribunale per giurare un documento che riguardi se stesso, in questi casi ci si deve rivolgere a terzi.
A noi come agenzia capitano questi casi in cui ovviamente specifichiamo subito di dover prima revisionare il testo per verificarne la correttezza.
Tramite il giuramento, il traduttore dichiara sotto la propria responsabilità che quanto scritto è conforme all’originale. È ovvio quindi che dobbiamo procedere ad una revisione o, nel peggiore dei casi, ad una traduzione ex novo.
Qualche tempo fa abbiamo ricevuto la richiesta di un cliente italiano che vive da tanti anni in Germania che ha tradotto una serie di documenti dal tedesco all’italiano per transazioni finanziarie per la vendita di un veicolo.
Si trattava di una lettera della banca riassuntiva delle varie operazioni e delle 4 ricevute delle singole transazioni, per lo più identiche tra loro, eccetto che per l’importo dei bonifici e per un codice causale.
Abbiamo apportato varie modifiche. Qui ne citiamo alcune.
Il cliente aveva tradotto il nome dell’Associazione dei revisori tedesca, ma essendo un realia non va tradotto.
Nelle ricevute delle singole transazioni, abbiamo notato:
Magari qualcuno può obiettare “eh, più o meno però, non cambia molto”. Mi ricorda quando insegnavo inglese e, nel correggere gli studenti, mi sentivo dire “sì, ok però mi capiscono”.
Io facevo sempre l’esempio di uno straniero che parla italiano e dice “io voleva prosciutto bianco”: certo tu capisci che questa persona vuole del prosciutto cotto, però ….
Naturalmente se si tratta di traduzioni da giurare, il discorso è diverso e non basta “farsi capire”. Bisogna essere precisi.
Riporto le parole della mia collega, traduttrice laureata alla Scuola Interpreti e Traduttori di Forlì nel lontano 1999, che scrive:
l’insegnamento più grande che ho tratto da questo percorso di studi è che tradurre è coltivare il seme del dubbio; diffidare della prima soluzione, di quella più semplice che, tuttavia molto spesso, può essere anche la più sbagliata; abbandonare l’uso pedissequo dei dizionari e dare molto più spazio e importanza ai contesti; spostare l’ambito di ricerca dai dizionari ai documenti reali prodotti nella pratica del rispettivo settore e genere testuale di riferimento nel paese in cui quel testo verrà usato.
Il plusvalore di un traduttore formato è avere gli strumenti e i dubbi giusti per aggirare certe situazioni o, almeno, per saper cercare delle soluzioni, senza cadere (si spera) con tutti e due piedi nel tombino dell’errore.
Poi siamo umani e può capitare di sbagliare! Però almeno abbiamo una formazione che ci guida.
A volte ci diciamo che se avessimo tenuto traccia di tutte le richieste strane ricevute dai clienti, adesso potremmo scrivere un libro!
Alcune richieste strappano il sorriso… altre meno! Ma l’importante è semplicemente spiegare al cliente e far capire le implicazioni di una determinata richiesta.
Una domanda semplice che ci siamo sentite fare tempo fa dalla segretaria dell’ufficio accanto al nostro (che lavora in tutt’altro settore) è stata:
Vi è mai capitato che il cliente contestasse una traduzione?
Sì, è capitato che il cliente non fosse d’accordo perché – ad esempio – voleva che in italiano riportassimo la dicitura “diritti di brevetto” quando nell’originale non c’era scritto!
Oppure è capitato che volessero che indicassimo un altro nome (…sì, ce lo hanno chiesto!).
O in generale quando il cliente conosce la lingua di partenza e non è d’accordo con una scelta traduttiva perché a suo avviso “veicolo” è un termine troppo “generico”.
Ti possono essere utili le informazioni del Tribunale di Bologna sulle asseverazioni e perizie.